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Autore: Carlo Sorrentino
Il bisogno degli individui di scambiarsi informazioni fra mondi e luoghi diversi è cresciuto nel corso dei secoli in modo direttamente proporzionale all’esigenza di allargare gli orizzonti cognitivi a causa del processo di differenziazione sociale. La moltiplicazione dei ruoli sociali svolti da ogni persona ha prodotto cambiamenti che riguardano l’intera biografia dell’individuo, ma anche una sua semplice giornata, in cui entra e esce da differenti situazioni sociali, da differenti appartenenze, e quindi da differenti ruoli sociali. La differenziazione sociale ha prodotto ciò che Simmel definiva estensione delle forme sociali e intensificazione delle interazioni sociali: si moltiplicano le interdipendenze di ogni singolo soggetto dagli altri. Crescono i rapporti sociali che ognuno instaura con gli altri.
Ogni soggetto deve imparare a stare con gli altri, a interagire con gli altri, a controllare le situazioni sociali nelle quali si trova coinvolto. Per dirla con un’espressione gergale a ‘stare al proprio posto’, o meglio a stare di volta in volta ai propri posti. Deve, in altri termini, acquisire gli strumenti necessari per definire le situazioni, cioè per comprendere e interpretare adeguatamente quali sono le norme sociali che regolano quella determinata situazione, quello specifico incontro. In altri termini, ogni singolo individuo ha bisogno di controllare una struttura di conoscenze e di regole molto più ampia che nel passato. Si ha una moltiplicazione di possibilità, di alternative che provoca incertezza. Si badi bene che l’incertezza non riguarda soltanto decisioni di grande rilevanza esistenziale, ipotesi e progetti per il futuro, ma ogni micro-decisione quotidiana presenta un arco di opzioni variegato.
Diventa necessario trovare adeguate forme di gestione di tale incertezza; per decidere bisogna conoscere la situazione in cui ci si muove, il frame da definire. Per far questo vi è bisogno di conoscenze, di risorse cognitive, di informazioni. La risorsa cognitiva, l’informazione, la notizia diventano l’unità di base, l’unità di misura della società contemporanea.
Per interagire e per agire bisogna sapere. Per questo motivo l’intelligenza dell’uomo ha lavorato nel corso dei secoli per inventare strumenti di trasmissione delle conoscenze sempre più veloci. Dall’invenzione della s. a caratteri mobili di Gutenberg a Internet vi è un lunghissimo filo rosso rappresentato dall’esigenza di velocizzare gli scambi informativi. Una rivoluzione poco appariscente, inavvertita come l’ha definita Eisenstein (1985) che rende esplicito come anche la definizione di società della comunicazione, con cui spesso appelliamo questa nostra età dell’incertezza, sia dovuta alla necessità di scambiarci più in fretta possibile le informazioni.
La nascita della s. e poi via via dei vari mezzi di comunicazione sono un effetto e non la causa della società della comunicazione, come invece ci fanno credere erroneamente sia il determinismo mediacentrico e tecnologico degli entusiasti apologeti del ‘tempo reale’, sia l’ingenua visione apocalittica di chi predica videocrazie e mediacrazie. (Storia della comunicazione)
È una selezione che ri-costruisce i fatti secondo proprie procedure operative (che analizzeremo) e li ri-contestualizza all’interno dei media che poi veicolano tali informazioni.
Dunque, il primo elemento da tenere ben presente è che attraverso la s. di qualsiasi tipo non si rispecchia la realtà ma la si seleziona e quindi la si ri-costruisce. Si crea un nuovo ambiente cognitivo, un nuovo luogo sociale dove incontrarsi e riconoscersi.
Come si è detto, la s. ci seleziona, ci mette in forma l’incredibilmente numeroso e ogni giorno più copioso flusso di informazioni che si produce incessantemente sul nostro pianeta. Per poter svolgere questo compito sono state create delle procedure operative che ‘routinizzano l’imprevisto’.
Per poter selezionare dall’intero universo degli accadimenti sociali bisogna che gli operatori dell’informazione strutturino dei processi di raccolta delle informazioni. Questo lavoro è svolto in specifiche organizzazioni definite redazioni. Ogni impresa giornalistica ha nella redazione il ‘cuore’ del lavoro, a cui vanno aggiunti gli uffici amministrativi, diffusionali, del marketing, e ovviamente la tipografia. Se ci si limita a osservare la realtà italiana, la grandezza della redazione può variare da 1-2 giornalisti a circa 500, a seconda della capacità diffusiva della testata.
Le redazioni sono organizzate in modo da rendere più efficace la raccolta delle informazioni che si ricevono da differenti fonti. Innanzitutto, le agenzie di informazione, altro tipo di redazioni giornalistiche che riescono ad avere una diffusione molto più capillare sul territorio, con migliaia di corrispondenti e collaboratori presenti nelle grandi città così come nei più piccoli Paesi. Le principali agenzie mondiali sono le americane Associated Press e United Press International, l’inglese Reuter, la France Press, la tedesca DPA, la spagnola EFE, la giapponese Kyodo, l’italiana ANSA.
Ma le redazioni hanno altre forme di raccolta diretta delle informazioni sia attraverso luoghi solitamente deputati a produrre accadimenti interessanti per i giornali (le sale stampa della Questura, del Governo, del Parlamento, degli Enti locali, dei Tribunali, ecc.), sia attraverso contatti diretti con specifiche fonti d’informazioni, che possono essere formalizzati: conferenze stampa, comunicati stampa, interviste; ma anche informali: telefonate, confidenze, incontri casuali, ecc.
Il lavoro nelle redazioni si divide in più fasi. Una prima fase, in cui si organizza la raccolta delle informazioni, viene prevalentemente svolta la mattina, oppure nei giorni precedenti. Si decide quali sono i temi, i luoghi, gli eventi a cui prestare attenzione e le modalità con cui farlo. Questo processo decisionale avviene dapprima nei singoli settori e viene poi formalizzato in una riunione che si tiene solitamente in tarda mattinata fra i vertici del giornale e i vari capiservizi dei diversi settori.
Quindi, si passa alla fase di raccolta vera e propria, attraverso un lavoro che può essere svolto in redazione (viene definito lavoro al desk) oppure attraverso i contatti formali o informali prima ricordati. Già in questa fase si attua un’ulteriore selezione, separando ciò che interessa di un evento da quanto non interessa.
Vi è la fase di organizzazione delle informazioni raccolte e di selezione, fra le tante, di quelle da pubblicare. Vengono decisi il rilievo da fornire (gerarchizzazione) e le modalità di presentazione. Anche questo lavoro è effettuato nei singoli settori ma poi formalizzato in una seconda riunione con i vertici, che si svolge nel pomeriggio, nella quale oltre a definire cosa sarà pubblicato dai singoli reparti si delineano anche le notizie a cui sarà data maggiore rilevanza: la prima pagina, la copertina, i titoli di testa.
Ovviamente, a seconda del medium, la selezione è più o meno forte (un telegiornale contiene meno notizie di un quotidiano). Comunque sia, una testata pubblica al massimo il 10-20% delle notizie che riesce a raccogliere. Una percentuale che si abbassa sempre di più, perché maggiore diventa il numero di informazioni che arrivano in redazione grazie alla velocizzazione causata dalle nuove tecnologie.
C’è da chiedersi quali siano i criteri attraverso cui si attuano tali selezioni, che come si evince dai grandi numeri trattati devono essere effettuate con rapidità e decisione. Di solito i professionisti del giornalismo tendono a evocare procedimenti che si apprendono esclusivamente con il tempo, oppure sono addirittura innati: il famigerato ‘fiuto’ giornalistico.
In verità, come molti studi hanno dimostrato, dando vita a un vero e proprio filone di ricerca di sociologia del giornalismo (il newsmaking) (Wolf, 1998), nel giornalismo sono individuabili dei processi di routinizzazione e di standardizzazione dell’imprevisto: i criteri di rilevanza, che rendono possibile regolare il flusso degli eventi da pubblicare rispetto al potenzialmente imprevedibile e indefinito numero di accadimenti.
I criteri di notiziabilità sono "criteri per selezionare dal materiale disponibile alla redazione gli elementi degni di essere inclusi nel prodotto finale (...) funzionano come linee-guida per la presentazione del materiale, suggerendo cosa va enfatizzato, cosa va omesso, dove dare priorità nella preparazione delle notizie da presentare al pubblico (...) i valori-notizia sono continuamente presenti nelle interazioni quotidiane che i giornalisti hanno nella loro cooperazione professionale (...) essi costituiscono dei chiari e disponibili riferimenti a conoscenze condivise sulla natura e gli scopi delle notizie, riferimenti che possono essere usati per facilitare la complessa e rapida elaborazione dei notiziari. I valori-notizia sono qualità degli eventi o della loro costruzione giornalistica la cui relativa assenza o presenza li raccomanda per l’inclusione in un prodotto informativo. Più un evento esibisce tali qualità, maggiori sono le sue chances di essere incluso" (Golding - Elliott, 1979).
I criteri di notiziabilità come ricorda Wolf sono formalizzazioni delle procedure operative svolte nell’attività di selezione e possono riguardare: 1) il contenuto delle notizie; 2) la particolarità del medium che le veicola e dei prodotti che lo caratterizzano; 3) il pubblico; 4) la concorrenza.
Per quanto riguarda il contenuto delle notizie, tali criteri tendono a osservare il livello gerarchico dei soggetti coinvolti; l’impatto sull’interesse nazionale e ancor di più su quello locale, seguendo una logica di prossimità (un evento è tanto più interessante quanto più accade vicino al luogo di diffusione del medium); la significatività dell’evento rispetto a possibili sviluppi futuri.
Per quanto concerne il mezzo e i prodotti da esso veicolati, costituisce titolo preferenziale la possibilità che l’evento sia facilmente trattabile secondo le routine datesi dalle organizzazioni giornalistiche, risulti temporalmente e spazialmente di facile accessibilità, esalti le caratteristiche dello specifico medium, per cui è più ricorrente che un telegiornale piuttosto che un giornale tratti l’eruzione di un vulcano, per la significatività delle immagini riproducibili. È rilevante anche seguire un bilanciamento nell’assemblamento del prodotto informativo, con una giusta miscela di temi e soggetti, per cui una determinata notizia è più probabile che sia selezionata, se non ve ne sono altre della stessa categoria in quel notiziario.
In un giornalismo orientato al mercato la selezione avviene anche sulla base di quelle che i media giornalistici ritengono le esigenze del pubblico. Si può dire senza timore di smentite che tale orientamento è sempre più evidente nelle aziende editoriali, con una forte integrazione fra le redazioni, deputate alla confezione del prodotto giornalistico, e i reparti marketing, che cercano di comprendere natura e interessi del pubblico. Una tendenza ben più sviluppata negli Stati Uniti, ma di cui si avverte l’esigenza anche nei media italiani (Montresor, 1994; Mosconi, 1998).
L’attenzione al mercato produce un’analoga incidenza dell’analisi della concorrenza, per cui si può decidere di selezionare un evento perché si ritiene che lo faranno anche i principali concorrenti, oppure perché si è visto che il telegiornale della sera lo ha messo in grande evidenza. Si cerca di contrastare questa tendenza omologante con il ricorso a esclusive, inventando nuove rubriche oppure realizzando scoop su particolari aspetti.
Se si considerano gli stretti margini di tempo entro i quali i giornalisti sono abituati a lavorare, si può facilmente comprendere come i criteri di notiziabilità debbano essere applicabili facilmente e rapidamente. Devono possedere un’ampia flessibilità per adattarsi alla varietà degli eventi disponibili ed essere comparabili, poiché il valore di ogni singola notizia è sempre relativo a tutte le altre disponibili. Quanto appena detto permette di non cadere in un rigido determinismo produttivo, con il quale talvolta anche gli studi sul giornalismo hanno ingabbiato il processo di definizione delle notizie. Infatti, bisogna considerare la natura dinamica dei valori-notizia, che cambiano nel tempo, anche perché muta il contesto sociale in cui vengono selezionate le notizie, si modificano gli assetti del sistema dei media e più in generale le caratteristiche politiche, economiche e culturali dei vari sistemi sociali in cui la produzione giornalistica è realizzata.
L’individuazione di nuovi formati giornalistici, l’ampliamento delle formule, dei contenuti e dei soggetti posti nel cono di luce mediatico significano l’implicita costruzione di una maggiore visibilità diffusa, resa possibile dalla s.
Mediatizzazione della realtà vuol dire, quindi, che si amplia e si fa più visibile lo spazio sociale in cui i soggetti fanno incrociare e confrontare le loro idee personali, a loro volta forgiate anche dalla ricchezza simbolica proposta dai media.
Di tale visibilità diffusa tutti i soggetti sociali devono tener conto nel costruire la propria identità. Si rendono conto di queste trasformazioni e progressivamente entrano nella negoziazione informativa con maggiore consapevolezza. Intuendo che non è più possibile sfuggire all’intervento della s. nelle proprie attività, abbandonano atteggiamenti reticenti e di segretezza e si dispongono affinché la loro presenza appaia secondo un punto di vista a loro favorevole.
La s. sembra condizionare i tempi dell’azione collettiva. Per entrare nel circuito informativo vanno assunte le logiche, e quindi anche i tempi, dei media giornalistici, potentissimi canali di trasmissione delle conoscenze. Ma questo non vuol dire che i media definiscono la realtà, come sempre più spesso si afferma, ritornando a ipotizzare loro eccezionali effetti; quanto piuttosto che diventano un ambiente comunicativo di grande rilevanza, alle cui logiche adeguarsi se si vuole avere una considerevole capacità di condizionare l’agenda dei temi, di incidere nelle dinamiche d’opinione esaltate da quei grandiosi ordinatori di realtà che sono i media.
‘Controllare la s.’ non vuol dire più, o non soltanto, gestirne le politiche attraverso personale fidelizzato, né semplicemente detenerne la proprietà; bensì costruire eventi e imporre temi che rientrino più agevolmente nella negoziazione con i media, poiché coerenti con le logiche che caratterizzano il funzionamento di tali media.
L’informazione diventa un ambiente comunicativo più denso. Un ambiente in cui ci sono più soggetti sociali, più oggetti simbolici, più discorsi. È del resto l’unico modo coerente per rappresentare un mondo che si differenzia, popolato da individui che svolgono più ruoli sociali, ognuno dei quali offre maggiori possibilità interpretative, e dove si moltiplicano le interdipendenze.
Vi è l’esigenza da parte di tutti di adeguarsi alle nuove forme di costruzione delle conoscenze definite dallo spazio sociale mediatizzato e di sintonizzarsi con le logiche mediali, non certo cedendo a esse ogni possibilità discorsiva. In altri termini, i media giornalistici non stabiliscono l’agenda dei temi, in tal modo monopolizzando lo spazio dell’opinione pubblica, ma le modalità attraverso cui muoversi e giocare nello spazio comunicativo da loro coperto. Ciò vuol dire che i media non stanno diventando titolari esclusivi del potere di distribuire le conoscenze sociali, bensì il luogo più potente attraverso cui tale distribuzione delle conoscenze può essere effettuata. La s. diventa, quindi, un contesto che ridefinisce il modo in cui si muovono i singoli attori sociali che lo popolano, ma è a sua volta ridefinito dalle interazioni socioculturali che si realizzano in questo contesto.
L’urgenza di rendersi visibili impone a tutti coloro che vogliono avere spazio sulla scena pubblica di negoziare con la s. la costruzione dell’agenda in modo da offrire ‘definizioni della situazione’ che incidano nella ri-costruzione della realtà dei media giornalistici.
Il gioco della fonte, quindi, non tende soltanto alla copertura da parte dei media, cioè ad avere una presenza sui media definita totalmente da questi ultimi o da fonti terze, ma anche a cercare d’avere accesso ai media, cioè far sentire la propria voce nei modi, nei tempi e nelle forme che si ritengono più opportune. Ogni fonte, pertanto, deve individuare la strategia migliore per sfruttare questa risorsa, calcolando con attenzione quali possano essere i plus informativi e quali, invece, i limiti della propria azione comunicativa.
Cambia l’azione sulla s. di tutti i soggetti sociali che chiedono una presenza sui media. L’esigenza di costruire capacità comunicative adeguate allo spazio pubblico mediatizzato comporta progressivamente la completa trasformazione del significato culturale e sociale del comunicare. La continua visibilità pubblica stabilita dalla mediatizzazione impone a ogni organizzazione di costruire un’identità comunicativa coerente e articolatamente diffusa. Inizialmente, si è parlato d’immagine, termine che ha suscitato ambiguità interpretative perché destava l’equivoco che l’apparenza contasse più della sostanza. Poi si è compreso come nell’apertura alla pubblica visibilità avere una buona immagine significasse costruire la comunicazione in modo che non fosse soltanto uno strumento, un canalecontesto in cui devono comprendersi emittente e ricevente (Ricezione). Anche per questo bisogna acquisire le logiche, i formati e i tempi dei media giornalistici, per trovare una più consapevole e matura capacità di raccontarsi e rappresentarsi.
In quella che possiamo chiamare la fase della segretezza, la fonte cercava d’escludersi alla visibilità della s. Ancora oggi permangono luoghi e istituzioni che perseguono questa impostazione; così come permangono in tutte le fonti delle zone di segretezza, le back regions, che però, diversamente dal passato, vengono protette secondo una strategia offensiva, cioè aprendo l’organizzazione in altri luoghi e in altri centri comunicativi, piuttosto che ‘chiudendosi a riccio’ nel pervicace occultamento di ogni informazione.
La seconda fase è stata quella delle pubbliche relazioni, in cui le fonti cercano di far passare i contenuti comunicativi che interessano loro. Si lavora principalmente sull’abilità nel creare confidenza con il sistema giornalistico e nel guadagnarsi affidabilità, credibilità e convenienza.
Assumere la media logic significa non limitarsi a cercare un raccordo con i media giornalistici per trasmettere le informazioni che interessano, bensì assecondare i criteri con i quali essi ricostruiscono la realtà. Ci si impossessa delle media logic e si lavora per inserire le proprie informazioni in una più articolata logica comunicativa, che non si esaurisce nei comunicati alla s., nelle confidenze con il giornalista, nelle conferenze-s., ecc. Bisogna costruire la propria identità e la propria immagine sapendo fare i conti con l’ambiente mediatizzato.
Possiamo pertanto definire le media strategies dei singoli soggetti come azioni articolate che si svolgono in un preciso contesto al fine di conseguire una chiara visibilità, che permetta di circoscrivere l’ambito dei significati e dei discorsi costruibili intorno all’identità del soggetto a quelli auspicati da esso. Queste strategie sono messe in atto attraverso media packages, cioè selezioni di accentuazioni e punti di vista che servono a imprimere letture preferenziali, fornire interpretazioni e attribuire significati ai temi e agli eventi del dibattito pubblico. Al centro di questi ‘pacchetti interpretativi’ vi è una sorta di principio organizzativo, un frame, che svolge quindi una funzione ordinativa, non è una semplice descrizione perché implica una ‘visione del mondo’, una valutazione: definisce la situazione assumendo una dimensione normativa che alla fine rende quel frame costrittivo anche per i soggetti che lo usano. Il frame è un processo i cui significati simbolici e cognitivi cambiano nel corso dello spazio e del tempo con il mutare delle posizioni dei diversi attori e del contesto in cui tali attori si muovono. Quindi nella scelta del frame e dei processi di definizione della situazione occorre riuscire a interpretare il contesto e le ‘mosse’ fatte dagli altri attori sociali.
Se riesce a definire le situazioni che gli interessano mediante strategie che sappiano comprendere le logiche della s., il soggetto interessato acquisisce all’interno del proprio campo legittimazione, notorietà, prestigio.
Si può affermare, quindi, che l’azione a cui un soggetto è chiamato non è tanto la creazione di comunicazioni che si trasmettono attraverso i canali giornalistici; bensì, la definizione di una visibilità e di un’identità che garantiscono non soltanto il passaggio sui media quanto l’accesso ai media e rendono credibili le proprie definizioni della situazione.
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Ogni soggetto deve imparare a stare con gli altri, a interagire con gli altri, a controllare le situazioni sociali nelle quali si trova coinvolto. Per dirla con un’espressione gergale a ‘stare al proprio posto’, o meglio a stare di volta in volta ai propri posti. Deve, in altri termini, acquisire gli strumenti necessari per definire le situazioni, cioè per comprendere e interpretare adeguatamente quali sono le norme sociali che regolano quella determinata situazione, quello specifico incontro. In altri termini, ogni singolo individuo ha bisogno di controllare una struttura di conoscenze e di regole molto più ampia che nel passato. Si ha una moltiplicazione di possibilità, di alternative che provoca incertezza. Si badi bene che l’incertezza non riguarda soltanto decisioni di grande rilevanza esistenziale, ipotesi e progetti per il futuro, ma ogni micro-decisione quotidiana presenta un arco di opzioni variegato.
Diventa necessario trovare adeguate forme di gestione di tale incertezza; per decidere bisogna conoscere la situazione in cui ci si muove, il frame da definire. Per far questo vi è bisogno di conoscenze, di risorse cognitive, di informazioni. La risorsa cognitiva, l’informazione, la notizia diventano l’unità di base, l’unità di misura della società contemporanea.
Per interagire e per agire bisogna sapere. Per questo motivo l’intelligenza dell’uomo ha lavorato nel corso dei secoli per inventare strumenti di trasmissione delle conoscenze sempre più veloci. Dall’invenzione della s. a caratteri mobili di Gutenberg a Internet vi è un lunghissimo filo rosso rappresentato dall’esigenza di velocizzare gli scambi informativi. Una rivoluzione poco appariscente, inavvertita come l’ha definita Eisenstein (1985) che rende esplicito come anche la definizione di società della comunicazione, con cui spesso appelliamo questa nostra età dell’incertezza, sia dovuta alla necessità di scambiarci più in fretta possibile le informazioni.
La nascita della s. e poi via via dei vari mezzi di comunicazione sono un effetto e non la causa della società della comunicazione, come invece ci fanno credere erroneamente sia il determinismo mediacentrico e tecnologico degli entusiasti apologeti del ‘tempo reale’, sia l’ingenua visione apocalittica di chi predica videocrazie e mediacrazie. (Storia della comunicazione)
1. Cosa fa la s.
Per quanto si sia appena affermato che la s. è strettamente collegabile alle esigenze di conoscenza, alla necessità di allargare i propri saperi, bisogna anche chiarire che la funzione svolta dalla s. non è soltanto quella di fornire informazioni, quanto piuttosto quella di ‘metterle in forma’. Per questo motivo si parla della s. come di un vero e proprio prodotto culturale. Svolge una funzione di mediazione culturale che si basa sulla selezione. Selezione da tutto ciò che avviene nella realtà di quanto si ritiene maggiormente significativo.È una selezione che ri-costruisce i fatti secondo proprie procedure operative (che analizzeremo) e li ri-contestualizza all’interno dei media che poi veicolano tali informazioni.
Dunque, il primo elemento da tenere ben presente è che attraverso la s. di qualsiasi tipo non si rispecchia la realtà ma la si seleziona e quindi la si ri-costruisce. Si crea un nuovo ambiente cognitivo, un nuovo luogo sociale dove incontrarsi e riconoscersi.
2. La s. come processo produttivo
La ricostruzione della realtà realizzata dalla s. è strettamente dipendente dalle esigenze della società e assume caratteristiche peculiari a quelle del contesto di diffusione. Si devono considerare pertanto i processi attraverso i quali avviene questa messa in forma.Come si è detto, la s. ci seleziona, ci mette in forma l’incredibilmente numeroso e ogni giorno più copioso flusso di informazioni che si produce incessantemente sul nostro pianeta. Per poter svolgere questo compito sono state create delle procedure operative che ‘routinizzano l’imprevisto’.
Per poter selezionare dall’intero universo degli accadimenti sociali bisogna che gli operatori dell’informazione strutturino dei processi di raccolta delle informazioni. Questo lavoro è svolto in specifiche organizzazioni definite redazioni. Ogni impresa giornalistica ha nella redazione il ‘cuore’ del lavoro, a cui vanno aggiunti gli uffici amministrativi, diffusionali, del marketing, e ovviamente la tipografia. Se ci si limita a osservare la realtà italiana, la grandezza della redazione può variare da 1-2 giornalisti a circa 500, a seconda della capacità diffusiva della testata.
Le redazioni sono organizzate in modo da rendere più efficace la raccolta delle informazioni che si ricevono da differenti fonti. Innanzitutto, le agenzie di informazione, altro tipo di redazioni giornalistiche che riescono ad avere una diffusione molto più capillare sul territorio, con migliaia di corrispondenti e collaboratori presenti nelle grandi città così come nei più piccoli Paesi. Le principali agenzie mondiali sono le americane Associated Press e United Press International, l’inglese Reuter, la France Press, la tedesca DPA, la spagnola EFE, la giapponese Kyodo, l’italiana ANSA.
Ma le redazioni hanno altre forme di raccolta diretta delle informazioni sia attraverso luoghi solitamente deputati a produrre accadimenti interessanti per i giornali (le sale stampa della Questura, del Governo, del Parlamento, degli Enti locali, dei Tribunali, ecc.), sia attraverso contatti diretti con specifiche fonti d’informazioni, che possono essere formalizzati: conferenze stampa, comunicati stampa, interviste; ma anche informali: telefonate, confidenze, incontri casuali, ecc.
Il lavoro nelle redazioni si divide in più fasi. Una prima fase, in cui si organizza la raccolta delle informazioni, viene prevalentemente svolta la mattina, oppure nei giorni precedenti. Si decide quali sono i temi, i luoghi, gli eventi a cui prestare attenzione e le modalità con cui farlo. Questo processo decisionale avviene dapprima nei singoli settori e viene poi formalizzato in una riunione che si tiene solitamente in tarda mattinata fra i vertici del giornale e i vari capiservizi dei diversi settori.
Quindi, si passa alla fase di raccolta vera e propria, attraverso un lavoro che può essere svolto in redazione (viene definito lavoro al desk) oppure attraverso i contatti formali o informali prima ricordati. Già in questa fase si attua un’ulteriore selezione, separando ciò che interessa di un evento da quanto non interessa.
Vi è la fase di organizzazione delle informazioni raccolte e di selezione, fra le tante, di quelle da pubblicare. Vengono decisi il rilievo da fornire (gerarchizzazione) e le modalità di presentazione. Anche questo lavoro è effettuato nei singoli settori ma poi formalizzato in una seconda riunione con i vertici, che si svolge nel pomeriggio, nella quale oltre a definire cosa sarà pubblicato dai singoli reparti si delineano anche le notizie a cui sarà data maggiore rilevanza: la prima pagina, la copertina, i titoli di testa.
Ovviamente, a seconda del medium, la selezione è più o meno forte (un telegiornale contiene meno notizie di un quotidiano). Comunque sia, una testata pubblica al massimo il 10-20% delle notizie che riesce a raccogliere. Una percentuale che si abbassa sempre di più, perché maggiore diventa il numero di informazioni che arrivano in redazione grazie alla velocizzazione causata dalle nuove tecnologie.
C’è da chiedersi quali siano i criteri attraverso cui si attuano tali selezioni, che come si evince dai grandi numeri trattati devono essere effettuate con rapidità e decisione. Di solito i professionisti del giornalismo tendono a evocare procedimenti che si apprendono esclusivamente con il tempo, oppure sono addirittura innati: il famigerato ‘fiuto’ giornalistico.
In verità, come molti studi hanno dimostrato, dando vita a un vero e proprio filone di ricerca di sociologia del giornalismo (il newsmaking) (Wolf, 1998), nel giornalismo sono individuabili dei processi di routinizzazione e di standardizzazione dell’imprevisto: i criteri di rilevanza, che rendono possibile regolare il flusso degli eventi da pubblicare rispetto al potenzialmente imprevedibile e indefinito numero di accadimenti.
I criteri di notiziabilità sono "criteri per selezionare dal materiale disponibile alla redazione gli elementi degni di essere inclusi nel prodotto finale (...) funzionano come linee-guida per la presentazione del materiale, suggerendo cosa va enfatizzato, cosa va omesso, dove dare priorità nella preparazione delle notizie da presentare al pubblico (...) i valori-notizia sono continuamente presenti nelle interazioni quotidiane che i giornalisti hanno nella loro cooperazione professionale (...) essi costituiscono dei chiari e disponibili riferimenti a conoscenze condivise sulla natura e gli scopi delle notizie, riferimenti che possono essere usati per facilitare la complessa e rapida elaborazione dei notiziari. I valori-notizia sono qualità degli eventi o della loro costruzione giornalistica la cui relativa assenza o presenza li raccomanda per l’inclusione in un prodotto informativo. Più un evento esibisce tali qualità, maggiori sono le sue chances di essere incluso" (Golding - Elliott, 1979).
I criteri di notiziabilità come ricorda Wolf sono formalizzazioni delle procedure operative svolte nell’attività di selezione e possono riguardare: 1) il contenuto delle notizie; 2) la particolarità del medium che le veicola e dei prodotti che lo caratterizzano; 3) il pubblico; 4) la concorrenza.
Per quanto riguarda il contenuto delle notizie, tali criteri tendono a osservare il livello gerarchico dei soggetti coinvolti; l’impatto sull’interesse nazionale e ancor di più su quello locale, seguendo una logica di prossimità (un evento è tanto più interessante quanto più accade vicino al luogo di diffusione del medium); la significatività dell’evento rispetto a possibili sviluppi futuri.
Per quanto concerne il mezzo e i prodotti da esso veicolati, costituisce titolo preferenziale la possibilità che l’evento sia facilmente trattabile secondo le routine datesi dalle organizzazioni giornalistiche, risulti temporalmente e spazialmente di facile accessibilità, esalti le caratteristiche dello specifico medium, per cui è più ricorrente che un telegiornale piuttosto che un giornale tratti l’eruzione di un vulcano, per la significatività delle immagini riproducibili. È rilevante anche seguire un bilanciamento nell’assemblamento del prodotto informativo, con una giusta miscela di temi e soggetti, per cui una determinata notizia è più probabile che sia selezionata, se non ve ne sono altre della stessa categoria in quel notiziario.
In un giornalismo orientato al mercato la selezione avviene anche sulla base di quelle che i media giornalistici ritengono le esigenze del pubblico. Si può dire senza timore di smentite che tale orientamento è sempre più evidente nelle aziende editoriali, con una forte integrazione fra le redazioni, deputate alla confezione del prodotto giornalistico, e i reparti marketing, che cercano di comprendere natura e interessi del pubblico. Una tendenza ben più sviluppata negli Stati Uniti, ma di cui si avverte l’esigenza anche nei media italiani (Montresor, 1994; Mosconi, 1998).
L’attenzione al mercato produce un’analoga incidenza dell’analisi della concorrenza, per cui si può decidere di selezionare un evento perché si ritiene che lo faranno anche i principali concorrenti, oppure perché si è visto che il telegiornale della sera lo ha messo in grande evidenza. Si cerca di contrastare questa tendenza omologante con il ricorso a esclusive, inventando nuove rubriche oppure realizzando scoop su particolari aspetti.
Se si considerano gli stretti margini di tempo entro i quali i giornalisti sono abituati a lavorare, si può facilmente comprendere come i criteri di notiziabilità debbano essere applicabili facilmente e rapidamente. Devono possedere un’ampia flessibilità per adattarsi alla varietà degli eventi disponibili ed essere comparabili, poiché il valore di ogni singola notizia è sempre relativo a tutte le altre disponibili. Quanto appena detto permette di non cadere in un rigido determinismo produttivo, con il quale talvolta anche gli studi sul giornalismo hanno ingabbiato il processo di definizione delle notizie. Infatti, bisogna considerare la natura dinamica dei valori-notizia, che cambiano nel tempo, anche perché muta il contesto sociale in cui vengono selezionate le notizie, si modificano gli assetti del sistema dei media e più in generale le caratteristiche politiche, economiche e culturali dei vari sistemi sociali in cui la produzione giornalistica è realizzata.
3. La negoziazione tra fonti e s.
Lo sviluppo tecnologico e i maggiori livelli di concorrenza conseguenti all’aumentata redditività del settore dei media realizzano un arricchimento notevole dei temi e dei soggetti che trovano accesso ai media. Si amplia lo spazio sociale rappresentato, si struttura uno spazio pubblico mediatizzato che evidenzia la centralità sociale dei media. Si parla di mediatizzazione della realtà.L’individuazione di nuovi formati giornalistici, l’ampliamento delle formule, dei contenuti e dei soggetti posti nel cono di luce mediatico significano l’implicita costruzione di una maggiore visibilità diffusa, resa possibile dalla s.
Mediatizzazione della realtà vuol dire, quindi, che si amplia e si fa più visibile lo spazio sociale in cui i soggetti fanno incrociare e confrontare le loro idee personali, a loro volta forgiate anche dalla ricchezza simbolica proposta dai media.
Di tale visibilità diffusa tutti i soggetti sociali devono tener conto nel costruire la propria identità. Si rendono conto di queste trasformazioni e progressivamente entrano nella negoziazione informativa con maggiore consapevolezza. Intuendo che non è più possibile sfuggire all’intervento della s. nelle proprie attività, abbandonano atteggiamenti reticenti e di segretezza e si dispongono affinché la loro presenza appaia secondo un punto di vista a loro favorevole.
La s. sembra condizionare i tempi dell’azione collettiva. Per entrare nel circuito informativo vanno assunte le logiche, e quindi anche i tempi, dei media giornalistici, potentissimi canali di trasmissione delle conoscenze. Ma questo non vuol dire che i media definiscono la realtà, come sempre più spesso si afferma, ritornando a ipotizzare loro eccezionali effetti; quanto piuttosto che diventano un ambiente comunicativo di grande rilevanza, alle cui logiche adeguarsi se si vuole avere una considerevole capacità di condizionare l’agenda dei temi, di incidere nelle dinamiche d’opinione esaltate da quei grandiosi ordinatori di realtà che sono i media.
‘Controllare la s.’ non vuol dire più, o non soltanto, gestirne le politiche attraverso personale fidelizzato, né semplicemente detenerne la proprietà; bensì costruire eventi e imporre temi che rientrino più agevolmente nella negoziazione con i media, poiché coerenti con le logiche che caratterizzano il funzionamento di tali media.
L’informazione diventa un ambiente comunicativo più denso. Un ambiente in cui ci sono più soggetti sociali, più oggetti simbolici, più discorsi. È del resto l’unico modo coerente per rappresentare un mondo che si differenzia, popolato da individui che svolgono più ruoli sociali, ognuno dei quali offre maggiori possibilità interpretative, e dove si moltiplicano le interdipendenze.
Vi è l’esigenza da parte di tutti di adeguarsi alle nuove forme di costruzione delle conoscenze definite dallo spazio sociale mediatizzato e di sintonizzarsi con le logiche mediali, non certo cedendo a esse ogni possibilità discorsiva. In altri termini, i media giornalistici non stabiliscono l’agenda dei temi, in tal modo monopolizzando lo spazio dell’opinione pubblica, ma le modalità attraverso cui muoversi e giocare nello spazio comunicativo da loro coperto. Ciò vuol dire che i media non stanno diventando titolari esclusivi del potere di distribuire le conoscenze sociali, bensì il luogo più potente attraverso cui tale distribuzione delle conoscenze può essere effettuata. La s. diventa, quindi, un contesto che ridefinisce il modo in cui si muovono i singoli attori sociali che lo popolano, ma è a sua volta ridefinito dalle interazioni socioculturali che si realizzano in questo contesto.
L’urgenza di rendersi visibili impone a tutti coloro che vogliono avere spazio sulla scena pubblica di negoziare con la s. la costruzione dell’agenda in modo da offrire ‘definizioni della situazione’ che incidano nella ri-costruzione della realtà dei media giornalistici.
Il gioco della fonte, quindi, non tende soltanto alla copertura da parte dei media, cioè ad avere una presenza sui media definita totalmente da questi ultimi o da fonti terze, ma anche a cercare d’avere accesso ai media, cioè far sentire la propria voce nei modi, nei tempi e nelle forme che si ritengono più opportune. Ogni fonte, pertanto, deve individuare la strategia migliore per sfruttare questa risorsa, calcolando con attenzione quali possano essere i plus informativi e quali, invece, i limiti della propria azione comunicativa.
Cambia l’azione sulla s. di tutti i soggetti sociali che chiedono una presenza sui media. L’esigenza di costruire capacità comunicative adeguate allo spazio pubblico mediatizzato comporta progressivamente la completa trasformazione del significato culturale e sociale del comunicare. La continua visibilità pubblica stabilita dalla mediatizzazione impone a ogni organizzazione di costruire un’identità comunicativa coerente e articolatamente diffusa. Inizialmente, si è parlato d’immagine, termine che ha suscitato ambiguità interpretative perché destava l’equivoco che l’apparenza contasse più della sostanza. Poi si è compreso come nell’apertura alla pubblica visibilità avere una buona immagine significasse costruire la comunicazione in modo che non fosse soltanto uno strumento, un canalecontesto in cui devono comprendersi emittente e ricevente (Ricezione). Anche per questo bisogna acquisire le logiche, i formati e i tempi dei media giornalistici, per trovare una più consapevole e matura capacità di raccontarsi e rappresentarsi.
In quella che possiamo chiamare la fase della segretezza, la fonte cercava d’escludersi alla visibilità della s. Ancora oggi permangono luoghi e istituzioni che perseguono questa impostazione; così come permangono in tutte le fonti delle zone di segretezza, le back regions, che però, diversamente dal passato, vengono protette secondo una strategia offensiva, cioè aprendo l’organizzazione in altri luoghi e in altri centri comunicativi, piuttosto che ‘chiudendosi a riccio’ nel pervicace occultamento di ogni informazione.
La seconda fase è stata quella delle pubbliche relazioni, in cui le fonti cercano di far passare i contenuti comunicativi che interessano loro. Si lavora principalmente sull’abilità nel creare confidenza con il sistema giornalistico e nel guadagnarsi affidabilità, credibilità e convenienza.
Assumere la media logic significa non limitarsi a cercare un raccordo con i media giornalistici per trasmettere le informazioni che interessano, bensì assecondare i criteri con i quali essi ricostruiscono la realtà. Ci si impossessa delle media logic e si lavora per inserire le proprie informazioni in una più articolata logica comunicativa, che non si esaurisce nei comunicati alla s., nelle confidenze con il giornalista, nelle conferenze-s., ecc. Bisogna costruire la propria identità e la propria immagine sapendo fare i conti con l’ambiente mediatizzato.
Possiamo pertanto definire le media strategies dei singoli soggetti come azioni articolate che si svolgono in un preciso contesto al fine di conseguire una chiara visibilità, che permetta di circoscrivere l’ambito dei significati e dei discorsi costruibili intorno all’identità del soggetto a quelli auspicati da esso. Queste strategie sono messe in atto attraverso media packages, cioè selezioni di accentuazioni e punti di vista che servono a imprimere letture preferenziali, fornire interpretazioni e attribuire significati ai temi e agli eventi del dibattito pubblico. Al centro di questi ‘pacchetti interpretativi’ vi è una sorta di principio organizzativo, un frame, che svolge quindi una funzione ordinativa, non è una semplice descrizione perché implica una ‘visione del mondo’, una valutazione: definisce la situazione assumendo una dimensione normativa che alla fine rende quel frame costrittivo anche per i soggetti che lo usano. Il frame è un processo i cui significati simbolici e cognitivi cambiano nel corso dello spazio e del tempo con il mutare delle posizioni dei diversi attori e del contesto in cui tali attori si muovono. Quindi nella scelta del frame e dei processi di definizione della situazione occorre riuscire a interpretare il contesto e le ‘mosse’ fatte dagli altri attori sociali.
Se riesce a definire le situazioni che gli interessano mediante strategie che sappiano comprendere le logiche della s., il soggetto interessato acquisisce all’interno del proprio campo legittimazione, notorietà, prestigio.
Si può affermare, quindi, che l’azione a cui un soggetto è chiamato non è tanto la creazione di comunicazioni che si trasmettono attraverso i canali giornalistici; bensì, la definizione di una visibilità e di un’identità che garantiscono non soltanto il passaggio sui media quanto l’accesso ai media e rendono credibili le proprie definizioni della situazione.
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Sorrentino Carlo , Stampa - B. Stampa e comunicazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/11/2024).
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